Scritto da Giacomo Panero
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Sono le 15:04 di domenica scorsa quando Tariq Panja, giornalista del New York Times, pubblica un tweet che condivide l’articolo da lui scritto che si intitola: “Top European Soccer Teams Form Breakaway League”. Ne seguono i giorni più caotici, confusi e complessi della storia recente del calcio europeo, tra minacce, comunicati ufficiali, prese di posizione, proteste e dibattiti pubblici.
Dopo 48 ore, che sembrano essere durate un’eternità, il progetto SuperLega è fragorosamente naufragato. Attraverso cinque domande, proviamo a fornirvi le chiavi per capire quanto è accaduto.
1) Perché è nata la SuperLega e perché ora?
La SuperLega, o competizione europea autonoma per club d’elite, non è qualcosa di nuovo. Se ne parla in termini informali da almeno trent’anni. In questi giorni circola in rete un vecchio articolo del Corriere della Sera del 1988 dove Silvio Berlusconi, all’epoca da poco presidente del Milan, parlava appunto di un progetto molto simile a quello che abbiamo avuto modo di conoscere negli ultimi giorni. La pandemia, con tutto quello che ha significato per il mondo del calcio, è probabilmente stata la scintilla che ha dato il via al progetto in termini concreti e il motivo principale, come spesso accade, è prettamente economico: i cosiddetti top club stanno navigando in acque molto tempestose da un punto di vista finanziario, con indebitamenti troppo alti, ricavi in diminuzione e costi che invece rimangono costantemente troppo alti. Attraverso la SuperLega, queste squadre sarebbero state in grado di avere il totale controllo sulla competizione, senza dover passare dalle mani della Uefa che, agli occhi dei club, tiene per sé una fetta della torta troppo ampia rispetto al suo reale contributo. È quindi probabile che l’operazione SuperLega sia stato un tentativo di colpo di stato volto a sovvertire le gerarchie istituzionali del calcio europeo e che il punto centrale della questione fosse quello di gestione delle competizioni: perché io Real Madrid o io Juventus devo lasciare che la Uefa prenda una grande parte dei soldi dei diritti tv per le mie partite, dove vanno in campo i giocatori che pago milioni di euro all’anno, quando me li posso prendere tutti io?
2) Dove hanno sbagliato le società “fondatrici”?
Principalmente nella comunicazione. Per due giorni nessuno ha capito chiaramente in cosa consistesse la competizione, molti hanno fatto confusione pensando che andasse a sostituire i campionati nazionali, non c’è stata una conferenza stampa unificata dove tutti i presidenti dei club coinvolti abbiano risposto alle centinaia di domande che un evento del genere inevitabilmente provoca. Non è esistita alcuna campagna di marketing per lanciare e sviluppare questo prodotto. Non sono stati presi accordi in anticipo con le Tv al fine di poter trasmettere questo nuovo torneo. Non è stato chiarito come i cinque posti non fissi sarebbero stati assegnati. Non sono state fatte indagini di mercato su come il pubblico avrebbe reagito a questa rivoluzione.
E siccome per i tifosi il calcio più che spettacolo e intrattenimento è soprattutto storia, cultura e tradizione, è passato il messaggio che si trattasse della morte del calcio stesso.
Agli occhi del pubblico è sembrato una spaccatura guidata solo da puri interessi personali, senza alcun occhio di riguardo verso l’esterno e di conseguenza non è stata recepita in maniera positiva praticamente da nessuno: giocatori, allenatori, giornalisti e soprattutto tifosi. Le dichiarazioni di questi giorni inoltre hanno dimostrato come alcune figure chiave all’interno delle società stesse, quali allenatori o dirigenti, non fossero a conoscenza della situazione: sebbene in alcuni casi queste parole possano risultare poco credibili, non cambia il fatto che la decisione di costituire la SuperLega sia stata fatta dai proprietari o presidenti dei club, con pochissimo riguardo verso tutto il resto del mondo del calcio.
3) Sarebbe davvero aumentato il livello di spettacolo?
Per i proprietari dei club “secessionisti” di sicuro: più partite tra i migliori calciatori, più gol, più spettacolo e, eventualmente, più soldi nelle nostre tasche. Abbiamo ancora tutti negli occhi lo spettacolo di Psg – Bayern. Ma siamo sicuri che un aumento così netto di partite tra grandi squadre non avrebbe portato ad un’overdose e ad una successiva normalizzazione dei big match? È una domanda soggettiva, dove non ci sono risposte giuste o sbagliate. Però bisogna ricordarsi che non è detto che l’equazione “calciatori più forti = più spettacolo” funzioni: quante finali brutte ci ricordiamo? Vengono in mente Liverpool-Tottenham di due anni fa o l’ottavo di finale tra Chelsea e Atletico Madrid di quest’anno. Non sempre squadre forti equivalgono a grande spettacolo. Il calcio, anche se giocato dalle squadre più forti, è uno sport a basso punteggio dove sono gli episodi a cambiare le partite e in gran parte dei novanta minuti non succede molto di spettacolare.
Se il calcio è lo sport più seguito al mondo non è per motivi di intrattenimento o di show, ma per il suo significato molto più ampio a livello di società, cultura e senso di appartenenza da parte dei tifosi.
4) La nuova Champions League è così diversa dalla SuperLega?
Lunedì 19 aprile è stata approvata la riforma della Champions League, che prevede l’aumento a 36 squadre, due squadre non qualificate attraverso i campionati nazionali incluse come wild-card e un girone unico dove però si giocano partite solamente contro 10 squadre su 36. Risulta chiaro come questa riforma non fosse gradita ai grandi club che hanno così deciso di formare la loro SuperLega solo dodici ore prima che venisse annunciato il nuovo formato della cara vecchia Champions. Ma andando ad analizzare nel dettaglio cosa offrono le due competizioni, queste risultano molto simili in alcuni dei loro aspetti chiave: più partite tra i grandi club, girone unico e non più la suddivisione in otto gironi e soprattutto la possibilità di entrare nella competizione senza merito sportivo.
Questo dimostra ancora di più come il tentativo di creare la SuperLega sia stato più un tentativo di assumere il controllo sulle competizioni europee costringendo la Uefa a farsi da parte che la necessità di avere una competizione diversa nel suo formato.
5) Ci saranno altri tentativi? Quali sono le condizioni in cui ciò potrebbe non accadere?
Molto dipende da come la Uefa, le federazioni nazionali e i club non coinvolti nella SuperLega si comporteranno verso i cosiddetti club fondatori. È giusto ricordare infatti come per tutta la giornata di lunedì la Uefa stesse tremando di fronte all’idea della dipartita di dodici dei quindici club più ricchi del mondo e che possiedono i cartellini di gran parte dei calciatori più forti e conosciuti del mondo. La retromarcia dei club inglesi, avvenuta anche tramite pressioni politiche, ha poi fatto crollare il progetto in maniera rovinosa, ma la minaccia è stata troppo grande per non lasciare qualche effetto sulla federazione calcistica europea. Se questa dovesse reagire in maniera troppo dura, i club separatisti sarebbero disposti a riprovarci, avendo imparato dai propri errori e rendendosi sicuri che non ci possano essere ripensamenti.
La via del dialogo è invece quella che potrebbe garantire più stabilità, almeno nel breve e medio termine: una ripartizione dei ricavi più giusta a favore di chi investe di più, un tentativo di garantire un modello di competitività più equilibrato e una minore influenza politica nel mondo del calcio sembrano essere dei buoni punti da cui partire per evitare ulteriori terremoti.
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