
BINOTTO SI DIMETTE DALLA FERRARI: CHI SARA’ IL SOSTITUTO?
Team principal nelle ultime 4 stagioni, oltre che direttore tecnico prima e storico ingegnere nella scuderia più famosa al mondo, Mattia Binotto terminerà il suo lavoro con la Ferrari il 31 dicembre, dopo aver rassegnato le proprie dimissioni lo scorso 29 novembre ponendo la parola fine sul periodo di 28 anni di rapporto lavorativo con il Cavallino Rampante. Egli comunque prenderà parte alla costruzione della nuova macchina in quel di Fiorano Modenese per la stagione 2023.
La separazione tra il nativo di Losanna e la Rossa era ormai nell’aria già da un po’: la poca affidabilità della monoposto (basta pensare ai gp di Monaco, Silverstone o in Ungheria), il rapporto incrinatosi con Leclerc, le sole 7 vittorie su 82 gran premi con lui alla guida e la scelta di porsi come figura centrale tout court, non servendosi di un direttore tecnico e di un responsabile politico, lo hanno caricato eccessivamente di responsabilità e quindi portato alla decisione di separare le proprie strade con la scuderia modenese.
In casa Ferrari trapelano diversi nomi, ma sicuramente al momento la direzione a cui punta la governance e in particolare John Elkann è quella di ripristinare un “triumvirato” in modo da ripartire responsabilità e compiti per dare chiarezza all’ambiente. Il candidato che sembra in pole per il ruolo di responsabile politico sembra Benedetto Vigna, già amministratore delegato della Ferrari; per il posto da direttore tecnico invece la Rossa potrebbe usufruire della figura di Simone Resta, che dovrebbe rientrare a casa dopo l’esperienza maturata in Haas.
Come team principal in questi giorni sono spuntati numerosi profili, con il rifiuto già comunicato alla dirigenza da parte di Christian Horner, destinato a rispettare il proprio contratto con la Red Bull, oltre a Andreas Seidl e Ross Brawn, che si sono fatti da parte. Due nomi caldi al momento sono: Frédéric Vasseur, team principal in Alfa Romeo Racing, il quale ha già avuto sotto di sé Charles Leclerc come pilota ma che non convince pienamente Elkann, oppure Jonathan Giacobazzi, già executive race manager della scuderia.
Ma a rappresentare la scuderia nell’assemblea federale della FIA che si è tenuta mercoledì 7 dicembre a Bologna è stato Laurent Mekies, il racing director della Rossa, il quale ha già affiancato Binotto al muretto la scorsa stagione. Con questa importante delega le quotazioni del direttore francese si alzano notevolmente, ma potrebbe essere semplicemente un ruolo a copertura del posto vacante in attesa del nome definitivo.
Insomma, si è ancora in fase di scrematura dei profili potenzialmente adatti al ruolo, con i tifosi della Ferrari che sperano di essere sempre più competitivi, contando che il mondiale piloti manca dall’ultima vittoria di Raikkonen nel 2007 e che un mondiale costruttori manca dal 2008: 15 anni è un periodo di tempo troppo lungo senza un campione del mondo alla guida della Rossa e senza la Ferrari al vertice dei costruttori.
di Munari Marco
LA FAVOLA MAROCCO: FORTUNA O VISIONE?
In un mondiale che fin qui non ha regalato grosse sorprese, dato che ai quarti sono approdate quasi tutte le grandi nazionali cui ci si aspettava, una di queste sembra essere la “pecora nera”.
La nazionale marocchina, infatti, partita con gli sfavori del pronostico sin dalla fase a gironi, ha saputo conquistare le prime pagine dei giornali con grandissimo stupore per tutti.
Nella storia dei mondiali, il Marocco conta sei partecipazioni.
In un girone con Croazia, Belgio e Canada, il destino del Marocco sarebbe dovuto essere quello di squadra terza, al massimo in breve lotta con la Croazia per la seconda posizione, ma quest’ultima vittoriosa. La realtà ha stravolto i pronostici: Marocco primo, Croazia seconda, Belgio fuori ai gironi.
Non solo, agli ottavi la nazionale africana ha incontrato la Spagna, che per ironia della sorte è lo Stato fondatore del Protettorato spagnolo del Marocco, ossia la porzione del Marocco amministrata dalla Spagna in regime di protettorato dal 1912 al 1956, anno della rivoluzione che ha portato all’indipendenza del Marocco, con capitale Tetuán. In quegli anni, più specificatamente nel 1926, dal Marocco ebbe inizio la guerra civile spagnola: l’Alzamiento del generale Francisco Franco del 17 luglio 1936 ebbe luogo proprio a Tetuán. Il protettorato ebbe fine grazie anche all’intervento del protettorato francese, favorevole all’indipendenza.
Molti dei giocatori in quella nazionale hanno doppia nazionalità: Bounou, Dari, Sabiri, Boufal, Harit, El-Nesyri e Hakimi.
Dovrà avere significato qualcosa in più questa partita per loro. Ed infatti, tre di questi sono stati determinanti per la vittoria ai calci di rigore contro la Spagna, contro il passato colonizzante, per loro e per la propria nazione. Bounou, una partita attenta nei 120 minuti, pochi rischi, complici anche gli errori spagnoli sotto porta, e si supera nei calci di rigore, 2 parate, si tuffa bene quando Sarabia prende palo, tira giù la saracinesca e non passa nessuno.
Boufal, giocatore con una tecnica impressionante, che se fosse stato più continuo avrebbe avuto una carriera da top player, si esalta al mondiale: 1 vs 1, Laporte sistematicamente superato, poi sull’esterno, cross sopraffini, crea scompiglio nella difesa avversaria.
Ed infine Hakimi, il top player: in fase difensiva perfetto, in fase offensiva non ci sono aggettivi. Poi la responsabilità del rigore, momento determinante per la partita e per la storia calcistica del Marocco, si prende la responsabilità e lo segna di cucchiaio. Migliore in campo.
Ma l’approdo del Marocco per la prima volta nella sua storia ai quarti di finale di un mondiale non è fortuna. Una squadra che, seppur non abbia mai superato il 40% di possesso palla nei match disputati finora, si è resa pericolosa con i due terzini, gioca di contropiede con palle verticali, hanno tecnica e soprattutto sono coperti in tutte le zone del campo. Nella coppa d’Africa dell’anno scorso, usciti agli ottavi con l’Egitto, il Marocco giocava un calcio di attesa, tanto possesso palla, tanti scambi stretti, ma sembrava un gioco sterile. Esattamente come quello proposto dalla Spagna nel mondiale.
La vittoria è stato un processo di studio da parte del ct Hoalid Regragui delle qualità dei suoi migliori giocatori, dei punti deboli avversari, della migliore strategia al punto da mettersi in discussione, giocando un calcio mai apprezzato da lui stesso fino a quel momento.
Ma c’è di più: una nazionale che non era mai stata così tanto forte figlia di un lavoro nelle giovanili organizzato, con molti ragazzi che da giovani vengono mandati fuori, per imparare la tattica solo in un secondo momento, ma che prima sono gli stessi ragazzi che si vedono per strada in qualunque città del Marocco, un qualcosa che manca troppo al sistema italiano, troppo concentrato sulla tattica, che forse nei primi anni dovrebbe lasciare liberi di esprimersi i propri giovani talenti. Infine, questa partita dimostra anche un declino spagnolo, un gioco non più sorprendente, quasi scontato, manca di finalizzatori, disperata ricerca del possesso palla senza troppe verticalizzazioni, ma nel risultato ciò che forse conta di più è la mancanza di personalità: come agli Europei escono ai rigori, senza riuscire a segnarne neanche uno. L’ultimo di questi, sbagliato da Busquets, forse il capitano con meno personalità nella storia della nazionale spagnola, spegne le speranze. E chissà se Sergio Ramos, da ex capitano volutamente escluso, avrebbe potuto cambiare il destino della nazionale spagnola.
Di Spampinato Antonio
ALLA SCOPERTA DEL CALCIO GIAPPONESE: DAI CAMPIONATI SCOLASTICI A QATAR 2022
Un inchino Saikeirei. Così, il c.t. Hajime Moriyasu davanti ai tifosi giapponesi pone fine all’esperienza Mondiale del Giappone dopo il k.o. ai rigori contro la Croazia. Un inchino speciale e sentito, il più significativo e profondo tra quelli della tradizione nipponica. Un gesto semplice, ma non banale, dopo aver abbracciato e consolato, al termine della partita, ognuno dei 26 “samurai” che hanno preso parte alla spedizione di Qatar 2022.
Dunque, la nazionale del Sol Levante lascia Doha, ma difficilmente questo Mondiale potrà cancellare il segno indelebile impresso da essa. E no, non si parla solo delle incredibili rimonte contro Spagna e Germania, e nemmeno del clamoroso primo posto nel girone. Parliamo di una lezione ben più grande, una lezione educativa, di civiltà e di pura sportività che incarna al meglio lo spirito su cui si fonda la tradizione calcistica nipponica.
È il 1921, quando ha luogo il primo storico campionato giapponese della Japan Football Association. Già da allora il vero fulcro dell’intero sistema è il mondo scolastico. Infatti, il calcio rimarrà uno sport circoscritto agli ambienti accademici per diversi anni, uno sport minore rispetto al popolarissimo baseball. Soprattutto, la struttura organizzativa del Paese prevedeva che il rapporto tra sport e educazione fosse indissolubile: i ragazzi dovevano seguire una durissima disciplina e riportare ottimi voti nelle materie studiate. Non bastava il talento per essere un giocatore, ma ogni singolo ragazzino doveva esser pronto per poter competere soprattutto con gli alti standard del mondo del lavoro ed essere formato al meglio per garantire il miglior apporto professionale all’interno delle aziende. Ma la scossa, o meglio il vero cambio di rotta dell’intero movimento calcistico giapponese, si ebbe in seguito alla reazione dalle terribili vicende che hanno segnato un’epoca: le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki dell’Agosto del ’45. Di fatti, le Olimpiadi del ‘64 a Tokyo, dopo che erano state annullate durante il secondo conflitto mondiale, segnavano un riscatto per una popolazione intera e, in particolare, il Giappone non voleva farsi trovare impreparato in quanto nazione ospitante. Nel 1960, con la clamorosa vittoria del campionato di una squadra fondata da una compagnia elettrica, viene interrotta l’egemonia delle accademie scolastiche, lasciando finalmente spazio agli investimenti delle grandi aziende. Nel frattempo, alle Olimpiadi il Giappone comincia ad abituarci alle incredibili imprese, battendo per 1-0 la temibile Argentina, ma soprattutto continua a dimostrare quanto questo sport fosse in forte crescita.
Toyota, Mitsubishi e Toyo (l’attuale “Mazda”), tra i nomi più influenti che iniziarono a spostare i loro capitali verso il crescente mondo del calcio. Un vero e proprio effetto domino condurrà il Giappone nei decenni a venire: la nascita di grandi contratti di sponsorizzazione con i colossi imprenditoriali come Toshiba, il memorabile bronzo nel ’68 alle Olimpiadi, l’introduzione di una seconda divisione nel ’72 e la nascita della definitiva J-League nel ‘92, tuttora il primo campionato nipponico.
L’emozione e l’entusiasmo crescono in maniera esponenziale, stimolati anche dalla parallela crescita del calcio nella vicina Corea del Sud. Il marketing sportivo continua ad espandersi, con l’ingresso di eccellenze del settore come Mizuno e Sony. Il mondo del calcio giapponese è in completa ascesa, infatti l’8 novembre 1992 arriva il primo trofeo: la nazionale del Sol Levante alza la sua prima Coppa d’Asia dopo la finale vinta contro l’Arabia Saudita.
Saranno quattro in totale le volte in cui la Coppa d’Asia verrà alzata al cielo (’92, 2000, 2004 e 2011). Ed è proprio con un italiano in panchina, Alberto Zaccheroni, che nel 2011 porterà a casa l’ultima della storia fino ad ora.
Un movimento calcistico appassionante, cresciuto tra i banchi di scuola ed arrivato a dominare il panorama asiatico anche grazie agli investimenti dei colossi aziendali giapponesi. Un binomio perfetto, quello tra valori sportivi e educazione accademica, che rendono la nazionale del Sol Levante tra le più rispettate e le più amate e che ancora oggi conta ben 13 giocatori nazionali su 26 prelevati nei campionati delle scuole superiori. Gli spogliatoi perfettamente in ordine prima di lasciare lo stadio al termine del match e i tifosi che ripuliscono gli spalti, dopo il triplice fischio finale, sono solo tra i più recenti esempi del nobile spirito giapponese: “wakon yosai”.
Insomma, un’ennesima lezione di civiltà ci arriva ancora dal lontano Oriente, un raggio di luce e di speranza dal Sol Levante illumina il buio degli scandali e delle polemiche che avvolge oggi il mondo del calcio globale.
Grazie Giappone.
Di D’Addario Luca